La teoria darwiniana a 150 anni dalla sua formulazione perde in modo accelerato consensi da parte di settori della scienza e della cultura.

Proprio sul finire del 2016 appariva sul sito di Pikaia, il portale dell’evoluzione, un articolo intitolato “Il falò (immotivato) del darwinismo” a firma ancora una volta del professore Telmo Pievani che confermiamo di poter ritenere il massimo esponente italiano della teoria neodarwiniana.

In questa occasione ad essere trattato era il libro del giornalista e saggista statunitense Tom Wolfe intitolato “ Il regno della parola”, un lavoro che prende spunto da una delle pubblicazioni più importanti degli ultimi anni firmate da 8 nomi di primissimo piano della ricerca scientifica nonché riferimento intellettuale di altissimo livello: The mystery of language evolution.

Ciononostante l’autore del pezzo su Pikaia esordisce affermando che esso non ha avuto alcun impatto sulla ricerca scientifica in quanto affetto da “immotivato pessimismo” accusando una diffusione virale in rete  paragonandolo in questo modo ad una delle tante ”bufale” di cui si parla in questi ultimissimi tempi. Ma la colpa di Wolfe sarebbe ancora più grave, costui giunge infatti a sminuire pesantemente quella figura che si vorrebbe rendere quasi mitologica con infinite celebrazioni quali i Darwin days, infatti nel racconto di Wolfe quella che emerge è l’immagine di un uomo altezzoso e manovratore delle situazioni.

Quello che è invece molto interessante nel lavoro di Wolfe è il richiamo a quella che fu l’obiezione di Alfred Russel Wallace alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale applicata all’essere umano, Wallace  affermava infatti che il linguaggio umano non poteva essere spiegato dalla teoria stessa in quanto il distacco con qualsiasi altra specie animale era da quel punto di vista incolmabile. Wolfe ricostruisce una  vicenda nella quale  Darwin, forte della sua posizione sociale, respinge le obiezioni di Wallace che poi sono le stesse ripresentate  a 150 anni di distanza nello studio degli otto grandi ricercatori capeggiati da Noam Chomsky.

La teoria darwiniana svuotata della sua capacità esplicativa sull’origine non solo delle specie ma in particolare dell’Uomo, emerge qindi come l’equivalente occidentale di una cosmogonia mitologica, una narrazione della realtà né più né meno come quelle presenti in ogni cultura umana e quindi non molto differente dalle spiegazioni della mitologia greca.

La recensione del prof. Pievani si conclude con le seguenti parole:

“In sintesi, Tom Wolfe ha scritto la prematura cronaca di un fallimento inesistente, una fiction politicamente scorretta i cui contenuti storiografici e “scientifici” possiamo serenamente consegnare al falò delle vanità. Resta la qualità indiscutibile della sua narrazione, a tratti fulminante, suprema esemplificazione di quanto proprio il linguaggio umano possa indulgere nell’autosuggestione, facendoci sembrare realtà ciò che è soltanto un nostro desiderio.”

Questa conclusione può però a mio avviso essere sostituita con la seguente:

Tom Wolfe ha descritto la cronaca di un fallimento non visto ormai solamente da coloro che di darwinismo vivono, coloro che chiusi in una confortevole e remunerativa torre d’avorio si danno  ragione l’un l’altro e condannano come incompetenti tutti coloro che dicono che il re è nudo.  Una descrizione che certamente è politicamente scorretta e che consegna al falò delle vanità una gran mole di contenuti parascientifici perché pieni di forzature. Un’opera che proprio in virtù dell’alto livello di narrazione potrà mostrare meglio di molte altre il fallimento del darwinismo, una teoria che per essere accettata ha bisogno di forti dosi di autosuggestione che facciano sembrare realtà ciò che è soltanto la proiezione del desiderio di una casta scientifica ideologizzata.

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