Epigenetica e il “NREH” (Non Random Evolutionary Hypothesis):

Il termine “epigenetica” in biologia può assumere diversi significati, ma per semplificare, si può dire che il termine è usato per descrivere:

1) cambi ereditabili del funzionamento genetico avvenuti durante lo sviluppo embrionale

2) tratti ereditabili risultanti da un cambiamento genetico che non cambia la sequenza nucleotidica del DNA

3) cambiamenti genetici che avvengono durante lo sviluppo embrionale causati da stimoli di cellule circostanti

4) tutti i cambiamenti genetici che sono stimolati dall’ambiente, inclusi quelli al di fuori dell’organismo.

Questa premessa che faremo sull’epigenetica serve per poi argomentare che i numerosi cambiamenti biologici proposti dagli evoluzionisti come prove del darwinismo non sono in realtà i cambiamenti necessitati per far evolvere un organismo in senso darwinista. Abbiamo trattato già in parte questo argomento nell’articolo “Introduzione all’anti evoluzionismo – parte 1” e in questo articolo non faremo altro che approfondire alcuni concetti chiave. Quello che andremo a sostenere infatti è che molti dei cambiamenti negli organismi che osserviamo sono in realtà frutto della loro capacità già costruita e preesistente di rispondere in modo predeterminato all’ambiente al fine di adattarsi e sopravvivere, e dunque non sono cambiamenti dovuti ad un aumento di informazione genetica (condizione necessaria dell’evoluzionismo). Questa tesi, come vedremo essere molto solida, è stata elaborata dallo scienziato Lee Spetner e chiamata “NREH” (Non Random Evolutionary Hypothesis, ovvero “ipotesi evoluzionistica non causale”). Gli evoluzionisti infatti quando vedono un cambiamento in un organismo tendono subito a parlare di evoluzione in senso darwinista. Nell’articolo “Introduzione all’anti evoluzionismo – parte 1” abbiamo mostrato come solamente cambiamenti che avrebbero aggiunto nuove informazioni sarebbero potute essere considerate “prove” di un evoluzione in atto. Un cambiamento invece già predeterminato che avviene grazie a specifiche condizioni, invece non può essere considerato evoluzione poiché quest’ultima deve spiegare come si creino caratteristiche nuove, e non, già esistenti (anche se in forma latente).

Cambiamenti ambientali possono causare in un genoma di un individuo alterazioni ereditabili che portano ad un adattamento dell’organismo a quello specifico cambio ambientale. Questi cambi epigenetici sono presenti sia in piante che in animali, che hanno costruiti al loro interno la precisa risposta a quel preciso stimolo esterno. Questi cambiamenti già presenti in potenza nell’organismo, permettono un rapido adattamento dell’organismo o di più organismi ad un cambiamento ambientale. Diversamente da questo, la teoria dell’evoluzione postula l’esistenza di mutazioni casuali (errori di trascrizione del DNA), che spiegherebbero la diversità genetica. Come delle modifiche ad un testo scritto potrebbero cambiare il significato di quest’ultimo, gli evoluzionisti sostengono che le mutazioni causali costruiscano informazione, rendendo più complesso e diversificato il DNA (che è l’equivalente del testo scritto).

I cambi epigenetici invece non sono casuali; l’abilità dell’organismo di rispondere e adattarsi all’ambiente richiede sia che l’organismo sia in grado di percepire un cambiamento dell’ambiente e sia che esso abbia un meccanismo che, attivato dalla percezione di uno stimolo esterno, porti all’attivazione di un gene latente (per semplificare: di una porzione di DNA “spenta/non attivata”) che a sua volta porta ad un cambio fenotipico (l’insieme delle caratteristiche fisiche, come l’anatomia, la fisiologia, il comportamento, la biochimica) che darà un vantaggio all’organismo nel nuovo ambiente.

Questi cambiamenti sono stati riportati da numerosi scienziati, come nel caso di Barry Warner dell’Emory University che individuò tali meccanismi nei batteri (Wanner 1985), di Christopher Cullis della Case Western Reserve University che trovò questi processi di adattamento nelle piante. In queste piante apparvero gli stessi cambiamenti fenotipici quando erano sottoposte agli stessi cambiamenti ambientali, indicando che questi cambiamenti non furono frutto del caso, ma bensì degli stimoli ambientali (Cullis 2005 e Chen et al. 2009). Antonio Prevosti dell’Università di Barcellona scoprì che a seconda della latitudine si potevano trovare gli stessi cambiamenti genetici nei moscerini della frutta “Distrophila Subobscura”. Le stesse identiche variazioni sono trovate sia nel Nord America che in Europa. Apparentemente furono gli stimoli ambientali a causare tali cambiamenti (Lee 2002, Prevosti et al. 1988).

I meccanismi cellulari che accendono e spengono i geni sono ben noti grazie agli studi di Jacob e Monod (Jacob e Monod 1961) sul batterio E. Coli: la cellula è in grado di produrre certi enzimi solo nel momento in cui essi sono necessitati. Quando il batterio percepisce la presenza di molecole di zucchero che necessita, attiva sia i geni che codificano per gli enzimi che permettono di trasportare lo zucchero nella cellula e sia i geni che codificano per la sua scomposizione. Quando la cellula non necessità più di queste molecole essa spegne i geni, un tempo accesi per l’assimilazione dello zucchero. Abbiamo quindi un caso evidente di come, grazie a stimoli esterni e/o interni, la cellula è in grado di accendere e spegnere i geni a seconda delle necessità. Questo esempio di accensione di geni dovuta alla presenza di un meccanismo già esistente all’interno della cellula è detto “a breve termine” poiché non sono cambi duraturi (Shapiro 2011). Come vedremo, esistono meccanismi interni agli organismi capaci di controllare l’espressione del genoma modificandolo per un lungo periodo, tale modifica può durare ed essere presente anche nella prole, come conseguenza di modifiche ambientali durevoli, diventando così un controllo dell’espressione dei geni a “lungo termine”.

Questo meccanismo a lungo termine fu studiato e teorizzato da Shapiro (1997, 1999, 2011), che sostiene che le cellule abbiano meccanismi integrati che permettono loro di adattarsi velocemente all’ambiente. Risulta evidente come queste modifiche non siano uguali alle mutazioni teorizzate dall’evoluzione. Infatti le mutazioni sono considerate avere un potere creativo, e di variazione quasi illimitata, rendendo così possibili la formazione di nuovi organismi. Il processo dei meccanismi già integrati invece è predeterminato e gli effetti sono prevedibili e le variazioni limitate. Per rendere il concetto semplice pensate al grilletto di una pistola: il grilletto innesca un meccanismo che sarà sempre lo stesso, ovvero la fuoriuscita del proiettile. Allo stesso modo gli stimoli ambientali possono essere considerati i diversi grilletti che innescano diversi meccanismi a seconda dello stimolo, ma il meccanismo e la variazione già presente in modo latente è limitata e non esiste alcun fenomeno creativo, come invece necessiterebbe l’evoluzione darwinista per mezzo delle mutazioni casuali.

Negli ultimi anni sono stati scoperti i trasposoni da Barbara McClintock (1941, 1950, 1955, 1956, 1983), che le diedero il Premio Nobel per la medicina nel 1983. I trasposoni sono elementi genetici che permettono rimescolamenti, non casuali, del DNA sotto controllo cellulare. Grazie a questi rimescolamenti, parti di DNA possono spostarsi da una parte all’altra del genoma o essere anche eliminati. Questi trasposoni, rimescolando diverse zone, possono attivare dei geni latenti, chiamati “cryptic genes”. Questi rimescolamenti possono avere diverse cause, tra cui, come sostiene McClinton (1984) grazie al suo studio sulle piante, lo stress.

Lo stress è infatti sia in grado di alterare il fenotipo che il genotipo di un organismo. In campo biologico lo stress è inteso come la condizione ambientale che minaccia la stabilità dell’organismo; può quindi derivare ad esempio da una mancanza di cibo, da una temperatura eccessivamente alta o eccessivamente bassa. I casi documentati in cui questo rimescolamento han portato all’attivazione di geni latenti sono numerosi (Shapiro 1992, 2009, Hall 1999). Nello specifico Slack (2006) e Hersh (2004) hanno riportato che lo stress, modificando il genoma del batterio E. Coli, può creare degli effetti di adattamento predeterminati. Questo stress può creare modifiche adattive sia nelle cellule somatiche, diventando quindi non trasmissibili, che nei gameti (trasmissibili).

Questa reazione genetica allo stress non è mai casuale, ma è dovuta ad un sistema di ingegneria cellulare che modifica il genoma in base a quello specifico stimolo indotto dallo stress, creando quindi effetti ripetibili e diversificati in base ai diversi stimoli. Questi cambiamenti epigenetici saranno limitati, poiché il meccanismo cellulare avrà un numero limitato di funzioni e risposte, e inoltre anche i possibili tipi di stimoli ambientali sono limitati. Questi cambiamenti genetici, poiché indotti dall’ambiente, possono provocare modifiche a numerose quantità di organismi in quello stesso ambiente, e solo nel momento del bisogno (poiché sono conseguenza di uno stimolo),mentre sarebbe assai improbabile che proprio nel momento del bisogno, non solo avvenisse una mutazione causale proprio funzionale al nuovo adattamento, ma anche che si presentasse in più organismi contemporaneamente, sarebbe come se causalmente in diverse copie dello stesso libro (che rappresenta il DNA) venisse cambiata esattamente la stessa lettera (che rappresenta la mutazione), proprio nel periodo in cui quel cambiamento era necessitato.

Queste riconfigurazioni genetiche sono mediate da sezioni ripetitive di DNA, i trasposoni, che sono la principale causa di questi architettati rimescolamenti; sono chiamati “geni saltellanti” perché possono cambiare i loro collocamenti e le posizioni di altre sezioni all’interno del genoma e possono duplicarsi (Shapiro 1999).

Esistono inoltre numerose specifiche sequenze di DNA comuni a tutti gli organismi (pensate a lunghissime parole comuni a tutti gli animali). Gli evoluzionisti interpretano questo dato dicendo che la selezione naturale abbia conservato queste sequenze, un tempo appartenenti ad un antenato comune, in tutti gli animali, poiché queste sequenze avevano e hanno un’utilità tale da non essere mai eliminati dalla selezione. Che una persona sia evoluzionista o meno, il fatto che esse siano presenti in tutti gli organismi, fa pensare che effettivamente queste sequenze abbiano una loro utilità. Se queste sequenze fossero geni (ovvero codificassero le proteine) allora la loro utilità sarebbe evidente; ma la maggior parte di queste sequenze non codificano per alcun gene. Queste sequenze, chiamate CNG (“conserved nongenic” sequence), sono definite semplicemente sequenze conservate se, su almeno 100 coppie di basi del DNA il 70% sono uguali, e sono definite ultra conservate se su almeno 200 coppie di basi del DNA sono uguali al 100%. Per capire la funzione di queste sequenze, diversi scienziati hanno provato a togliere tali sequenze per veder che effetto creasse la loro assenza all’interno dell’organismo. Lo scienziato Nadav Ahituv fece tale esperimento: tolse le sequenze CNG ultra conservate comuni sia all’uomo che al topo (la cavia per fortuna fu il topo) e vide che il topo era perfettamente normale, come se queste sequenze non avessero alcuna utilità. Lee Spetner suggerisce che è ragionevole credere che queste sequenze siano collegate all’abilita di mettere in atto cambi epigenetici e offre evidenza sperimentale per tale tesi, citando il seguente esperimento: furono tolti ben 6000 geni, uno per volta, dal lievito (Hillenmeyer et al. 2008). Di questi 6000 geni solo il 34% erano funzionali e necessari alla sopravvivenza del lievito. Del 66% restante che sembrava non avere alcuna funzione, il ben 63% mostrò la sua fondamentale importanza in adattamenti indotti da cambiamenti ambientali. Il 3% rimanente non riscontrò alcuna funzione, ed è possibile che il motivo è che l’organismo non abbia subito tutti gli stimoli ambientali specifici all’attivazione di quel 3%.

Passiamo adesso ai “cryptic genes”, (o geni criptici) che sono geni latenti in grado di essere attivati da cambi epigenetici (Hall 1983). Questi geni sono uguali ai geni ordinari se non per il fatto che sono resi latenti da un silenziatore, ovvero un segmento di DNA che impedisce la loro espressione. Il silenziatore può essere “disattivato” con l’inserimento di una sezione di DNA (The Evolution Revolution, Lee Spetner, pp.52) o il cancellamento di una sezione di DNA (The Evolution Revolution, Lee Spetner, pp.53). Il tutto sotto stretta regolazione e controllo cellulare. Al giorno d’oggi sappiamo che il 90% dei batteri E. Coli possiede dei geni criptici per gli zuccheri del beta-glucosio (Hall e Betts 1987, Hall 1999). E’ stato riportato che i geni criptici codificano per diversi enzimi come “’l’acetolattato sintasi” (Mukergji e Mahadevan 1997); è stato scoperto che la proteina Hsp90, in presenza di alte temperature, è la causa dell’espressione dei geni criptici nel moscerino Drosofila (Rutherford e Lindquist 1998) e che i geni criptici causano resistenze antibiotiche (Hall 2004). Nel caso delle resistenze antibiotiche, i geni criptici che generalmente nel plasmidio si attivano grazie ad un cambio epigenetico, sono attivi solo in presenza dell’antibiotico (è quindi l’antibiotico stesso che causa la resistenza cellulare all’antibiotico). Questo cambio epigenetico disattiva il silenziatore, rendendo il batterio più adatto all’ambiente (senza che esso si sia evoluto in termini darwinistici e dunque senza alcun aumento di informazione).

Altro caso esemplare di cambio epigenetico è il “batterio del nylon”. Il Nylon fu inventato nel 1935 e nel 1975 fu scoperto che un tipo di batterio, il Flavobacterium, era presente in grandi quantità in un deposito di scarti di nylon di una fabbrica giapponese. Questi batteri erano in grado di vivere in questi scarti, che ovviamente erano relativamente nuove (il nylon non esiste in natura) alla biosfera del pianeta. Dato che il Giappone iniziò a produrre Nylon solo dal 1951 questi batteri ebbero solo 20 anni a disposizione per adattarsi e acquisire le nuove abilità richieste per l’assimilazione del Nylon. Fu trovato che questi batteri avevano ben tre nuovi enzimi che insieme permettevano al batterio di metabolizzare gli sprechi del Nylon. La cosa importante da notare e che questi nuovi enzimi furono testati contro 100 molecole simili al Nylon e questi enzimi non furono in grado di catalizzare alcuna reazione metabolica con loro (Kinoshita et al. 1977, 1981). Risulta evidente quindi che questi tre enzimi risultarono come conseguenza di questo nuovo specifico ambiente di scarti di Nylon che mise sotto stress questi batteri minacciando la loro sopravvivenza. Una delle componenti di questi scarti è il “Acd” (6-aminohexanoic acid cyclic dimer), ovvero una combinazione di due catene molecolari formate da sei atomi di carbonio e un atomo di idrogeno. Queste due catene sono legate tra di loro in due punti (per i dettagli tecnici “The Evolution Revolution p.54-56). Il primo di questi tre nuovi enzimi, che gli evoluzionisti dicono essersi evoluti, chiamato E1, spezza la catena in un punto rompendo così il primo legame, tramite il processo dell’idrolisi, il secondo enzima, E2, sempre con il processo dell’idrolisi, spezza l’ultimo dei due legami staccando così interamente le due catene. Questo processo quindi permette al batterio di metabolizzare il Nylon. I due geni, che codificano per questi due enzimi, sono chiamati nylA e nylB e la loro sequenza è stata scoperta (Kinoshita 1977, 1981). Fu scoperto anche il terzo enzima, E3, il suo gene nylC e la sua funzione relativa al metabolismo del Nylon (Kakudo 1993).

Evidentemente la nascita di questi enzimi non poteva venire da un processo evolutivo, poiché, specialmente nel caso dei primi due enzimi, l’uno, senza l’altro, non avrebbe conferito nessuna utilità all’organismo e all’assimilazione dell’Acd, e credere questi due enzimi si siano formati causalmente insieme è irragionevole (questo è uno dei tanti casi di complessità irriducibile, che abbiamo brevemente introdotto nel nostro articolo:https://apologeticaecreazione.wordpress.com/2015/11/27/introduzione-allanti-evoluzionismo-parte-2/). La nascita di questi tre enzimi sembra quindi essere frutto di una risposta dell’organismo ad uno stimolo ambientale, la quale risposta consistette nell’attivare, grazie a meccanismi appositi presenti nell’organismo, funzioni fino a quel momento latenti. Ma c’è qualche motivo in più per credere che questo sia un cambio epigenetico? La risposta è sì e l’evidenza è schiacciante.

Fu scoperto infatti che un altro tipo di batterio oltre al Flavobacterium subì un cambio genetico che gli permise di acquisire la capacità di nutrirsi con il Nylon. Quest’altro tipo di batterio è il Pseudomonas. Lo scienziato Seiji Negoro dell’Università di Osaka, isolò un ceppo di batteri Pseudomonas che presto svilupparono i geni nylA e nylB (i due geni che codificano per i due enzimi, E1 e E2 che spezzano l’Adc). Anche questi batteri quindi, con questi nuovi enzimi svilupparono la capacità di nutrirsi dell’Adc presente nel Nylon (Kanagawa 1989). L’enzima E1 del batterio Pseudomonas fu al 99% identico dell’enzima E1 del Flavobacterium (Tsuchiya 1989) mentre i due enzimi E2 erano simili solo al 35% (Kanagawa 1993). I due enzimi nel Pseudomonas si trovano in due plasmidi diversi, mentre nel Flavobacterium sono sullo stesso plasmidio. Sino ad ora non è ancora stato trovato l’enzima E3 nel Pseudomonas. La quasi uguaglianza (99%) dei due enzimi E1 tra i due tipi di batteri, mostra come la nascita di questi enzimi non venisse da un processo evolutivo (è da ricordare che la teoria dell’evoluzione lavora con mutazioni puramente causali. Risulta quindi chiaramente irrazionale credere che casualmente siano venuti gli stessi enzimi quasi identici, mentre è più ragionevole credere che questa somiglianza sia dovuta ad una comune capacità interna degli organismi di adattarsi in modo predeterminato ad un certo stimolo, che in questo caso è appunto lo stesso, il Nylon). Ma oltre a questo c’è evidenza ancora più schiacciante: lo scienziato Negoro e la sua equipe dell’Università di Osaka fecero un esperimento con dei batteri Pseudomonas che non potevano metabolizzare il Nylon e lì fece proliferare in un ambiente in cui, come unica fonte di cibo, era presente il Nylon (Prijambada 1995). Prima di entrare nel dettaglio è bene ricordare le implicazioni: se, anche in questo caso, in poco tempo, pure questi batteri dovessero acquisire la capacità di assimilare il Nylon, risulterebbe evidente come tutti questi adattamenti non furono frutto di un caso, ma bensì di quel preciso stimolo e risulterebbe evidente quindi come questi due tipi di batteri (il Flavobacterium e il Pseudomonas) abbiano un proprio meccanismo in grado a reagire a questo preciso stimolo.

Negoro prese dei batteri Pseudomonas dalla Nuova Zelanda (cosicché le probabilità di una contaminazione dei batteri giapponesi Flavobacterium della fabbrica giapponese fosse nulla). Questi batteri vennero quindi introdotti in ambiente in cui, per produrre carbone e nitrogeno era presente solo l’Adc (una componente del Nylon). In pochi mesi una parte della popolazione di batteri apparve possedere i geni nylA e nylB (che codificano per gli enzimi E1 e E2) permettendo così a questi batteri di potersi nutrire di Adc. La brevità di tempo (pochi mesi) con il quale questi batteri si sono adattati è incredibile e ci permette di capire come questo cambiamento non sia frutto di processi evolutivi, che opera in sezioni di tempo ben più larghe. E’ evidente quindi, come l’ambiente abbia fatto scattare un cambiamento già esistente in potenza nell’organismo.
Cambi epigenetici che portano all’adattamento non sono presenti solo in organismi relativamente semplici, come i batteri sopracitati, ma anche in forme di vita ben più complesse. Ad esempio lo scienziato Iwama studiò i cambi epigenetici nei pesci (Iwama 1998) individuando tre fasi del loro adattamento. La prima fase consiste nel rilascio di ormoni, come la catecolamina e l’ACTH, nel sangue a causa di una situazione che causa stress nell’organismo (come ad esempio la presenza di predatori); nella seconda fase i sensori cellulari attivati dagli ormoni possono attivare l’attività di diversi enzimi (Cohen 1988) che possono modificare sia il comportamento che la fisionomia. Questa seconda fase può attivare o spegnere dei geni. Questi cambiamenti genetici possono manifestarsi nella vita di un individuo o in una intera popolazione.

Nello specifico i cambi epigenetici possono funzionare mediante questi fenomeni:

  • Stimoli ambientali causano stress nell’organismo
  • Lo stress può causare rimescolamenti genetici che possono rendere l’organismo più adatto all’ambiente
  • Lo stress può indurre la produzione di ormoni, i quali possono raggiungere ogni cellula nel corpo
  • Gli ormoni definiti come “messaggeri primi” possono attivare i sensori sulle cellule. Questa attivazione innesca un meccanismo all’interno della cellula che porta il messaggio al DNA
  • Una volta arrivato al DNA, quest’ultimo può modificarsi
  • Questi cambiamenti genetici possono cambiare la funzione chimica delle cellule, che a sua volta può cambiare la fisionomia e i comportamenti dell’organismo. Questi cambiamenti possono rendere più adatto l’organismo

L’EVOLUZIONE DELLA FAMIGLIA DEI CIPRINODONTIDI

Questo è un buon esempio di una prova dell’evoluzionismo confutata dai cambi epigenetici.

Il deserto della Death Valley è il luogo più arido e caldo del Nord America, nonostante il calore e l’aridità ospita un tipo di pesce, una peculiare specie della famiglia dei Ciprinodontidi. Questi Ciprinodontidi hanno mostrato una grande capacità di “evolversi” rapidamente in risposta a cambi ambientali. La Death Valley è la casa di nove specie e subspecie, ognuna nel proprio habitat e isolate le une dalle altre. La loro evoluzione fu paragonata all’evoluzione dei fringuelli delle Isole Galapagos. L’evoluzione nei Ciprinodontidi si nota particolarmente nella forma del corpo e nel comportamento, invece nei fringuelli l’evoluzione fu riscontrata nella forma dei becchi (Lema 2008).

In tutta la Death Valley il luogo più inospitale in cui sono trovati i Ciprinodontidi è la Devil’s Hole; le sue temperature estreme e le scarse risorse di cibo sono una difficile sfida per questi pesci. I pesci caratteristici della Devil’s Hole sono considerati infatti una specie in estinzione, e per questo motivo, in un programma per salvare le specie in via di estinzione, alcuni di questi Ciprinodontidi sono stati spostati in delle riserve costruite appositamente per essere simili alla Devil’s Hole, ma ovviamente non identiche. Dopo solo cinque anni i pesci presentarono cambi morfologici rispetto a come erano prima nel loro habitat naturale. Si crede che queste divergenze fossero il risultato di comuni risposte biologiche (esistenti solo “in potenza” nell’organismo) a condizioni ambientali simili. Per testare la possibilità di questa loro plasticità fenotipica (variabilità morfologica), Sean Lema e i suoi colleghi presero dei Ciprinodontidi appena nati da un’altra zona della Death Valley (Amargosa River), e li sottoposero a condizioni che imitassero quelle della Devil’s Hole. Scoprirono che anche lievi cambi di temperatura influenzavano lo sviluppo e la risultante morfologia dei pesci presi in considerazione. Scoprirono che una produzione di un ormone della Tiroide alterata dall’ambiente era una causa dei cambiamenti morfologici. Scoprirono anche che l’ormone Arginina Vasotocina (AVT) gioca un ruolo importante nell’alterare il comportamento dei Ciprinodontidi quando viene cambiato l’ambiente. Le cellule che producono AVT sono situate nel cervello e rispondono allo stress.

Dagli studi dei pesci prelevati dall’Amargosa River, fu scoperto che i cambi dell’ambiente inducono stress che influisce sulla produzione di ormoni, i quali cambiano la morfologia dei Ciprinodontidi. Inoltre, dagli studi sui Ciprinodontidi prelevati dal Devil’s Hole e inseriti nelle riserve, si scoprì che il DNA dei pesci nelle riserve era diverso da quelli che erano rimasti nel loro habitat naturale. Gli studi sui Ciprinodontidi del Devil’s Hole mostrano grande supporto per ciò che vogliamo dimostrare.

Un numero crescente di esempi di cambi di popolazione sta venendo alla luce con una velocità tale che non possono essere attribuiti a errori di copiatura del DNA o dai meccanismi darwinisti di mutazione casuale e selezione naturale, ma invece possono benissimo essere spiegati dal meccanismo dei cambi epigenetici.Inoltre la teoria dell’evoluzione ha grandi problemi nello spiegare come le lunghe sequenze di mutazioni (assolutamente necessarie per la teoria dell’evoluzione) accadono proprio nel momento giusto, nel quale ogni mutazione nella sequenza ha un valore selettivo maggiore rispetto a quello precedente (ovvero ogni singola mutazione conferisce un vantaggio rimanendo così conservata, in vista di altre mutazioni, al fine di creare la specifica sequenza).

PROVE DELL’EVOLUZIONE MEGLIO SPIEGATE DAI CAMBI EPIGENETICI

La riproduzione delle margherite
Le margherite hanno semi che si disperdono grazie al vento; ogni seme è avvolto da una palla pelosa molto leggera e molto più grande del seme stesso, il quale possiede inoltre piccole setole. Queste due cose fungono da “paracadute” e permettono al seme della margherita di spargersi a lunghe distanze (anche due chilometri con un buon vento) rispetto al fiore da cui sono partiti. Questo meccanismo permette quindi di spargere a lunghe distanze il DNA della margherita, conferendo così un vantaggio riproduttivo alla specie. Alcune volte però, questa sua caratteristica, può diventare svantaggiosa. Infatti, questa capacità di coprire una vasta area può portare ad un grande spreco di semi nel mare dal momento che il fiore è situato su un’isola. E’ stato riportato che le margherite che sprecavano troppi semi nel mare si siano “evolute”, in modo tale da limitare i danni. Gli scienziati Martin Cody e Jacob Overton studiarono le margherite e piante simili con la stessa abilità di dispersione di semi in più di 200 isole di grandezza diversa (Cody e Overton 1996). Essi scoprirono che quando le margherite, o piante simili, venivano trasportate dalla terraferma ad un isola, nel giro di soli due anni, perdevano l’abilità di spargere a lunghe distanze i semi. Questi cambiamenti furono osservati essere genetici ed ereditabili. Poiché i cambiamenti sono avvenuti in così poco tempo, i meccanismi neo-darwinistici non possono essere considerati la causa di tale “evoluzione” (invece i cambiamenti epigenetici permettono cambi più veloci anche perché, oltre al fatto che sono una riposta ad uno stimolo, possono venire modificati più membri della popolazione alla volta, mentre nel caso delle mutazioni questo sarebbe altamente improbabile). Inoltre il fatto che questi adattamenti avvengano ogni volta che queste piante vengono spostate significa che mutazioni causali (il meccanismo darwinista) non possono esserne la causa. Ci sono quindi solo due possibilità, o questo adattamento è dovuto ad un cambio epigenetico, o la selezione naturale ha operato su una parte della popolazione della piante che avevano già la caratteristica di non disperdere i semi (diversamente dal cambio epigenetico queste piante non sarebbero cambiate con il cambio dell’ambiente, ma semplicemente sarebbero sopravvissute in quanto possedevano già questa caratteristica). In entrambi i casi non abbiamo ciò che necessita la teoria evolutiva, ovvero un aumento delle informazione (dovuto ad una mutazione casuale, ovvero un errore di copiatura del DNA), che permetterebbe così di spiegare come un antenato comune più semplice diventi più complesso nell’albero della vita.

La mosca “Rhagoletis pomonella”
La mosca Rhagoletis pomonella originariamente si nutriva e si riproduceva sulle piante di biancospino (tecnicamente il Crataegus monogyna), ma, a partire dal diciannovesimo secolo, queste mosce abbandonarono il biancospino per infettare i meli (l’albero delle mele). Al giorno d’oggi queste mosche si nutrono e si riproducono anche su rose, peri, e alberi di ciliegio. In queste mosche si possono notare modifiche significative del comportamento, ad esempio:

a. Come detto prima, la loro preferenza cambiò dal vecchio habitat a quello nuovo

b. I maschi adottarono una preferenza copulativa nei confronti delle femmine e viceversa, ciò aiutò a isolarle dalla vecchia popolazionec. Le loro nuove procedure copulative cambiarono per isolare ulteriormente la nuova popolazione da quella vecchia e per evitare che si potessero riprodurre tra di loro d. Aggiustarono il loro tempo di maturazione per coincidere con la maturazione del nuovo frutto del nuovo habitat.

Tutte queste modificazioni sono state dimostrate essere di natura genetica e ereditabili (Barton et al. 1988, Feder et al. 1988, McPheron et al. 1988, Smith 1988).
Poiché i comportamenti sono di natura genetica, richiedo cambiamenti nel genoma per la manifestazione delle loro modificazioni. Tutte queste funzioni sono dovute accadere velocemente e simultaneamente, cosa che una sequenza di errori casuali nella replicazione del DNA, ognuno seguito dalla selezione naturale, non è in grado di compiere. Ma in una capacità di reazione già pre-costruita, come postulato dal NREH (teoria appunto dei cambi epigenetici elaborata da Lee Spetner), è invece possibile.

Filchak (Filchak 2000) ha proposto che la temperatura più calda all’interno delle mele potrebbe portare ad una maturità precoce; questo potrebbe essere, ma McPheron (1988) ha riportato che le mosche risedenti sul biancospino e quelle risedenti sulle mele sono geneticamente diverse, il che supporta notevolmente la tesi che sia avvenuto un cambio epigenetico. In più, l’isolamento riproduttivo sembra escludere la possibilità che entrambi i tipi di mosche erano già presenti sin da subito.In ogni caso questo esempio di evoluzione “dal vivo” non mostra alcun aumento di informazione nel genoma, e dunque non offre alcuna indicazione di come l’informazione può essere stata costruita con la teoria dell’Antenato Comune, detta comunemente teoria dell’evoluzione. Questo esempio non dà alcun supporto alla la teoria e quindi di come si siano potuti evolvere tutti gli animali da un antenato comune. Nessuna spiegazione di come questo cambiamento sia potuto avvenire include processi che costruiscono nuova informazione (elemento necessario per l’evoluzionismo darwinista appunto) indipendentemente dalla quantità di tempo a disposizione.

L’evoluzione dei pesci Guppy (Poecilia reticulata)

I Guppyguppy

 

I ciclidiciclidi

I Killyfisch

E’ stato sostenuto che i pesci “Guppy” (Poecilia reticulata) abbiano subito una rapida evoluzione (Reznick 1990, Reznick e Bryga 1987 e 1996, Carroll 2007, Gordon 2009).
Risulta che questi pesci adattino la loro morfologia e comportamento in base al tipo di predatore che vive nel loro territorio. Sono stati studiati due tipi di questi adattamenti. I pesci Ciclidi cacciano grandi gruppi di Guppy maturi e i Killifish cacciano i piccoli Guppy immaturi. Con la presenza dei Ciclidi, i Guppy si adattano maturando in fretta e danno vita a molta piccola prole, la quale tende a non essere attaccata dai Ciclidi. Con la presenza dei Killifish invece i Guppy tendono a maturare più tardi a avere meno figli ma più grandi, i quali tendono a non essere attaccati dai Killifish.

Questi adattamenti sono stati studiati da David Reznick e i suoi colleghi dell’University of California, studiando i Guppy a Trinitad nel fiume Aripo. Questo fiume ospita Guppy assieme a Ciclidi, che cacciano i grandi Guppy maturi. Un affluente del fiume Aripo ospitta i Killifish ma non i Ciclidi e, e fino a quando non arrivò Reznick con il suo team, non vi erano nemmeno i Guppy. Reznick prese 200 Guppy dal fiume Aripo e li mise nell’affluente; subito si verificarono cambiamenti nella popolazione di Guppy appena introdotta. I Guppy cambiarono in ciò che si troverebbe normalmente in presenza di Killifish, e Reznick scoprì che questi cambiamenti erano ereditabili.

Il cambiamo totale della popolazione di Guppy avvenne dopo solamente due anni, un tempo assolutamente troppo breve affinchè mutazioni casuali e selezione naturale possano avere un qualche effetto (ammesso che lo possano avere). Reznick interpretò questi cambiamenti come un risultato di selezione naturale che aveva agito su una variazione già presente nella popolazione. Ciò significa nessuna nuova informazione fu generata in questo esempio di evoluzione, la “novità” era già presente nella popolazione. Se è così, allora questo esempio non supporta la teoria dell’evoluzione e la possibilità che tutti noi discendiamo da un antenato comune, poiché essa richiederebbe la nascita di nuova informazione attraverso mutazioni casuali.
È inoltre plausibile che la novità fu generata da cambiamenti introdotti dall’ambiente, come asserisce l’NREH. In ogni caso, in questo esempio, non vi è alcun supporto per l’Antenato Comune e dunque per l’evoluzione darwinista.

Le lucertole della Bahamas
Le lucertole della Bahamas sono state osservate essersi evolute per adattarsi ad un nuovo ambiente in soli 10/14 anni (Losos 2001, Losos et al. 1997, Case 1997). Le lucertole furono introdotte su parecchie isole nelle Bahamas (Schoener e Schoener 1983) e dopo solo dieci anni cambiarono morfologia per adattarsi alle varie nicchie, mostrando dunque una rapida speciazione. Anche in questo caso i cambi furono di gran lunga tropo rapidi per essere attribuiti a errori di copiatura del DNA e selezione naturale, e dunque all’evoluzione (per vedere su che scale di tempo operi il meccanismo evolutivo, guardare “il dilemma di Haldane” nel nostro articolo “Introduzione all’anti evoluzionismo parte 2”, o anche semplicemente i tempi proposti dagli evoluzionisti che attribuiscono piccoli cambiamenti a milioni di anni).

Ciò che è interessante di queste lucertole è che la stessa diversità di specie delle lucertole è presente sulle quattro isole delle Grandi Antille: Porto Rico, Cuba, Hispaniola e Jamaica. Se l’evoluzione di queste specie fosse stata causata da mutazioni casuali e selezione naturale, ci si aspetterebbe che queste specie avessero queste diversità già all’interno della loro popolazione prima di essere distribuite/diffuse in tutte le isole isole; questa diversità, partendo da un luogo specifico, si sarebbe poi diffusa nelle quattro isole. In questo modo si avrebbe il classico esempio di come l’evoluzione dovrebbe funzionare: c’è un caso, ovvero un individuo mutato, che riesce poi a diffondere nella popolazione la nuova caratteristica.
Invece le analisi del DNA mostrano che le specie si diversificarono indipendentemente in modo parallelo in ciascuna isola (Losos 2001). Tale evoluzione parallela, detta anche convergente, è altamente improbabile (se spiegata con la teoria dell’evoluzione) poiché significa che le mutazioni casuali avrebbero prodotto per ben quattro volte lo stesso cambiamento. Già sarebbe improbabile che la giusta mutazione necessaria si presenti proprio nel momento dell’arrivo nel nuovo habitat, figuriamoci ipotizzare che casualmente siano avvenute per ben quattro volte in quattro casi diversi, le stesse mutazioni causali utili ad adattarsi al nuovo ambiente.
Questo tipo di “evoluzione” sarebbe invece spiegata facilmente con i cambi epigenetici, in cui il cambio è direttamente causato dagli stimoli ambientali, spiegando così questo caso di “evoluzione” parallela.
La speciazione delle lucertole anolidi è stata osservata sulle quattro isole Porto Rico, Cuba, Hispaniola e Jamaica (Losos 2001, Losos e Schluter 2000) e ognuna di queste isole ospita specie adattate ad una varietà di habitat. Vi sono circa 110 specie di queste lucertole anolidi che si sono apparentemente evolute per adattarsi nei luoghi più disparati.

Come facciamo a sapere che le singole varietà di lucertole si siano adattate insieme nello stesso luogo (la singola isola appunto) invece che ognuna in località separate per poi unirsi? Perché, se invece ogni tipo si evolse in una località separata, per poi unirsi, si potrebbero spiegare questi dati con la teoria dell’evoluzione, poiché non sarebbe necessario parlare di evoluzione parallela (convergente). In poche parole, in ogni isola, ci sono diverse variazioni di lucertole, che però sono comuni a tutte le isole (ad esempio, in tutte le isole sono presenti sia le lucertole adattate allo stesso modo per vivere alla base dell’albero sia le lucertole adattate allo stesso modo per vivere sui rami): se tutte le lucertole adattate a vivere alla base dell’albero si fossero evolute tutte in un punto (mettiamo una specifica isola) e poi si fossero sparse nelle diverse isole non sarebbe necessario parlare di evoluzione parallela, se invece le lucertole adattate a vivere alla base dell’albero lo avessero fatto nella propria isola (senza poi diffondersi nelle altre) l’evoluzionista sarebbe costretto a dire che le altre lucertole adattate allo stesso modo a vivere alla base dell’albero, ma in altre isole, si sono evolute in modo parallelo.

Vi sono due forti indicazioni che, per ogni isola, queste lucertole si siano adattate insieme nello stesso luogo, rendendo così impossibile all’evoluzionista non postulare l’evoluzione parallela, che la sua teoria farebbe un’enorme fatica a spiegare: primo, negli anni ’70, l’anolide bruno (Anolis sagrei), fu introdotto in circa venti isole, ognuna delle quali offriva habitat differenti. Dopo circa venti anni, su molte delle isole, lucertole dalle differenti morfologie furono trovate essersi adattate a vari habitat, con ogni tipo di lucertola “riproduttivamente isolata” rispetto alle altre lucertole con adattamenti diversi. Dato che dopo venti anni in ogni isola furono trovate numerose lucertole con morfologie diverse, ognuna adattata al proprio habitat e riproduttivamente isolate, si può concludere che, nel tempo tra l’introduzione delle lucertole su un’isola e quando furono osservate essersi adattati, le nuove specie su ciascuna isola furono il prodotto di una diversificazione dell’originale Anolis sagrei.
Secondo, le analisi del DNA indicano che le varie specie su un’isola si evolsero proprio su quell’isola e non immigrarono da nessun altro luogo. Ed è per questo che il cambio epigenetico risulta la spiegazione più plausibile. Come si può dire ciò? Gli anolidi su ciascuna delle quattro isole hanno gli stessi tipi di adattamenti (ad esempio ogni isola ha delle lucertole adattate per vivere o alla base dell’albero o alla cima di un albero). Le specie di lucertole che su isole differenti si adattarono agli stessi ambienti hanno quasi la stessa morfologia. Se queste varie specie avessero evoluto i loro adattamenti insieme in un unico luogo per poi disperdersi, ci si aspetterebbe che il DNA di una lucertola su un’isola combaci di più con il DNA di una lucertola che ha lo stesso tipo di adattamento su un’altra isola, rispetto ad una lucertola che si è adattata diversamente ma sulla stessa isola. Ma gli studi sul DNA ci hanno mostrato il contrario: le specie che si sono adattate in modo diverso ma sulla stessa isola hanno un DNA più simile, rispetto alle specie di lucertole con adattamenti simili, ma di isole diverse (Losos 2001, Losos 1998, Jackman 1997). L’implicazione di questo è quindi che la prima popolazione di lucertole ad occupare un’isola si diversificò indipendentemente per adattarsi ai vari habitat dell’isola, creando così tutta la varietà.  L’evoluzione darwinista, come detto prima, non è in grado di spiegare questo fatto, perché l’evoluzione parallela (convergente) raggiunge improbabilità tali da escludere l’ipotesi evoluzionistica. Invece i dati sono spiegati benissimo dai cambiamenti epigenetici (e quindi dalla teoria NREH), ovvero tramite una risposta già costruita nell’organismo finalizzata ad attivarsi ad uno stimolo ambientale. Questo processo non genera alcuna nuova informazione, poiché questo meccanismo pre-costruito era già esistente in modo latente all’interno delle lucertole. Questo è un altro esempio di “evoluzione” in atto che non coinvolge un aumento di informazione, e dunque non è evidenza per l’evoluzionismo, l’antenato comune e il darwinismo (tre termini concettualmente interscambiabili in molti casi).

I Fringuelli di Darwin.
Charles Darwin visitò le isole Galapagos, tra la fauna osservò degli uccelli che assomigliavano a dei fringuelli ma non assomigliavano a nessun altro fringuello che aveva visto precedentemente. Gli esperti confermarono che erano delle nuove specie di fringuelli, sconosciuti altrove. Darwin teorizzò che, in un qualche momento del passato, alcuni fringuelli riuscirono a raggiungere le isole Galapagos dalla terraferma e che, da allora, le variazioni (credute essere oggi dai Neo-Darwinisti errori di copiatura del DNA, mutazioni) comparvero negli uccelli, e divennero soggette alla selezione naturale. Darwin teorizzò che gli antenati dei fringuelli della Galapagos volarono, o furono spinti dal vento, dal Sud America fino alle isole Galapagos, che distano dalla terraferma circa 600 miglia, e i biologi oggigiorno concordano (Grant 1986). Le analisi del DNA indicano che il probabile antenato dei fringuelli della Galapagos è un membro della specie Tiaris obscurus (Sato et al. 2001). La diversificazione dei fringuelli della Galapagos si stima sia avvenuta in 2,3 milioni di anni (Sato et al. 2001).
Ma i fringuelli per diversificarsi ci hanno messo davvero 2,3 milioni di anni? Possiamo solamente speculare, ma non possiamo davvero sapere quando il primo fringuello spiccò il volo per raggiungere le isole Galapagos. Non abbiamo nessuna indicazione storica che possa confermare questa speculazione.Ma in uno studio controllato alcuni fringuelli furono inseriti in una isola in cui precedentemente non c’erano fringuelli (Conant 1988, Pimm 1988). Nel 1967, circa 100 fringuelli identici furono rimossi da una Riserva del Governo degli Stati Uniti D’America nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, e furono portati circa a 300 miglia di distanza in un gruppo di quattro piccoli atolli (gruppetti di isole vulcaniche) che distavano circa dieci miglia gli uni dagli altri, e non ospitavano nessun fringuello precedentemente.
Diciassette anni dopo, quando gli uccelli furono controllati, furono trovati una varietà di forme dei becchi, e adattamenti nelle varie nicchie, sia nel comportamento e sia per la forma del becco e i muscoli interessati di conseguenza. Questo esperimento risultò una “versione accelerata” dello scenario convenzionale dell’evoluzione dei fringuelli delle Galapagos. Se questa diversificazione è avvenuta in meno di 17 anni, perché mai l’evoluzione dei fringuelli di Darwin delle Galapagos ci avrebbero messo più di 2 milioni di anni? Avrebbero potuto farlo in molto meno tempo, e molto probabilmente così infatti avvenne. Quindi, la diversificazione di questi uccelli può essere attribuita a una reazione pre-costruita nel genoma, presente in modo latente nei fringuelli, e pronta ad essere attivata ad uno stimolo ambientale, proprio come postulato dal NREH di Lee Spetner.Ogni specie di fringuello è adattata alla sua nicchia, con la forma del suo becco, muscoli, comportamento, e altri caratteri fenotipici appropriati alla sua nicchia. Il segnale biochimico che evoca il cambiamento della forma del becco è stato scoperto essere una proteina chiamata Bmp4 (Bone morphogenetic protein 4). Durante lo sviluppo embrionale, più Bmp4 è prodotto e più ampio e profondo sarà il becco (Abzhanov et al. 2004). Se la nostra ipotesi è corretta allora gli ormoni azionati da stimoli ambientali influenzano lo sviluppo embrionale, poi quegli ormoni inducono i fattori della crescita. Il meccanismo costruito all’interno del NREH permette alla popolazione di uccelli di adattarsi ad un nuovo ambiente velocemente ed efficientemente senza doversi appigliare al lento e dispendioso processo Neo-Darwinista di mutazioni casuali e selezione naturale. Un adattamento evoluzionista, che impiegherebbe milioni di anni per aspettare l’errore giusto di copiatura del DNA e la selezione naturale, può essere compiuto in una singola generazione attraverso il meccanismo del NREH, ovvero dei cambiamenti epigenetici. L’evoluzione dei fringuelli non dà alcuna indicazione per una aggiunta di nuova informazione e dunque non offre alcun supporto per l’antenato comune.

I fringuelli G. Fortis e G. Magnirostris.
Il “Character Displacement” è un fenomeno di speciazione nel quale due specie che tendono a essere simili quando vivono separate le une dalle altre, si differenziano fino a cambiare in una o più caratteristiche quando (le due specie) occupano lo stesso territorio (Brown and Wilson 1956). Questa capacità è apparentemente progettata per cercare di ridurre la competizione tra specie. Le differenze che si sviluppano tra di loro sono genericamente credute essere di natura genetica.Un esempio eclatante di “character displacement” rapido in cui la divergenza apparve dopo che due specie simili iniziarono a vivere insieme per soli 22 anni, e in cui il “character displacement” avvenne rapidamente in solo un anno, fu riportato da Peter e Rosemary Grant (Grant and Grant 2006).
Il fringuello Geospiza Fortis, detto anche “fringuello terricolo medio”, fu l’unica specie di fringuello presente su un’isola delle Galapagos fino al 1982 quando arrivarono due esemplari femmine e tre esemplari maschi di fringuello Geospiza magnirostris (detto anche “fringuello terricolo medio”). Dal momento che i Geospiza magnirostris iniziarono a riprodursi, vennero osservati i becchi dei Geospiza Fortis. La dimensione del becco rimase costante (effettivamente si noto un temporale aumento di dimensioni, ma solo prima che arrivasse il G. magnirostris) fino al 2004, successivamente, improvvisamente, in un solo anno, la dimensione del becco subì una significa decrescita. Con un becco più piccolo i G. fortis iniziarono a cibarsi di animali diversi rispetto ai G. magnirostris, evitando così una competizione. In questo caso o stimolo ambientale che avrebbe potuto produrre uno stress era la competizione tra le due specie. Lo stimolo della competizione iniziò lentamente, a partire dal 1982, ma fu solo dal 2004 in cui i G. magnirostris raggiunsero un numero di individui quasi uguale a quello dei G. Fortis e fu in quel momento in cui questi ultimi cambiarono di colpo la loro dimensione del becco. Anche in questo la caso la spiegazione migliore risulta il cambio epigenetico, e sicuramente non il processo darwinista.Ci sono inoltre numerosi esempi di “character displacement” che non fanno altro che indicare che questi cambiamenti siano epigenetici e non casuali (come vorrebbe l’evoluzionismo), come ad esempio il cambiamento di dimensioni delle lucertole (Schoener 190, Losos 1990), delle lumache (Frenchel 1975) e le dimensioni della mandibola dei coleotteri tigre (Pearson 1980).

CONCLUSIONE

Oltre a questi esempi che abbiamo descritto esistono altri casi di “evoluzione” rapida e nessuno di questi esempi mostrano un aumento di informazione e quindi nessuno d questi esempi può essere usato come prova della teoria dell’evoluzione. Le uniche spiegazioni di questi casi di cambiamento rapido che noi osserviamo sono o i cambi epigenetici, come postulato dal NREH o la selezione di individui già presenti nella popolazione con i tratti già manifesti che avrebbero permesso l’adattamento. In entrambi i casi non troviamo un processo evoluzionistico.Diffidate quindi dalle finte prove che sono dette sostenere la teoria dell’evoluzione.

Amedeo Da Pra e Edoardo Da Pra

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