L’articolo originale pubblicato su Science è intitolato “Many Paths to the Origin of Life“, su Le Scienze è stato trattato in “Lo stato dell’arte delle teorie sull’origine della vita“, dove giustamente viene colta l’occasione per fare il punto della situazione sulle attuali conoscenze riguardo l’origine della vita. Nel titolo di Science viene subito dichiarato che esistono molti percorsi per spiegare l’origne della vita, si tratta di un’affermazione che non può che colpire chi si interessa dell’argomento, ma leggiamo direttamente le parole di Le Scienze:
L’origine della vita sulla Terra è ancora un mistero. E non perché si sappia troppo poco, ma perché non si riesce a decidere quale abbia effettivamente avuto luogo tra i diversi meccanismi che, secondo le ipotesi e i risultati sperimentali, sono in grado di sostenere l’emergere di composti organici, la loro autoreplicazione e infine l’integrazione in una cellula biologica del materiale genetico.
È questa la sintesi dello stato dell’arte sulle teorie dell’origine della vita proposta da Jimmy Gollihar dell’Università del Texas a Austin e colleghi dell’Albert Einstein College of Medicine a New York, in un articolo di commento pubblicato su “Science”.
Esistono dunque troppi “cammini” che risulterebbero tutti ugualmente soddisfacenti per sostenere l’emergere non solo l’emergere dei composti organici, come avvenuto per gli aminoacidi nell’esperimento di Miller, ma anche la loro autoreplicazione e persino l’integrazione in una cellula del materiale genetico. In realtà l’esperimento di Miller ha consentito di riprodurre in laboratorio solo degli aminoacidi a partire da sostanze di base possibilmente presenti nell’atmosfera primordiale:
Ma l’esperimento di Miller – Urey riuscì a formare solo una miscela racemica di aminoacidi (cioè di aminoacidi di forma speculare di cui solo una, la L, è presente negli organismo viventi) e di alcuni altri composti organici, ma in modo troppo semplicistico si giunge alla conclusione che la questione dell’origine delle molecole necessarie alla vita è praticamente risolta:
Ricostruita così a grandi linee la sintesi prebiotica dei composti organici, si apre però il problema di delineare un meccanismo plausibile per l’inizio dell’autoreplicazione delle molecole.
Incredibilmente, nello stesso articolo, poche righe dopo parlando dell’ipotesi dl cosiddetto “mondo a RNA” viene negato quanto appena detto:
In questa ricostruzione mancherebbe solo una buona disponibilità dei “mattoni elementari” da cui sintetizzare l’RNA, in particolare lo zucchero ribosio.
E qui s’incontrano notevoli difficoltà teoriche. Con processi prebiotici, infatti, il ribosio si può sintetizzare in quantità limitate, e la sua vita media in ambiente acquoso è estremamente breve.
Da ciò discendono due spiegazioni alternative: il ribosio si è formato in condizioni desertiche, come quelle della superficie di Marte, oppure l’RNA primordiale faceva a meno del ribosio (era una sorta di pre-RNA).
L’appena dichiarata ricostruzione della sintesi prebiotica cade quindi di fronte alle difficoltà che pone la ricostruzione della sintesi del ribosio indispensabile per ottenere l’RNA (acido ribonucleico). Le difficoltà di ottenere il ribosio nelle stesse condizioni della Terra primordiale ipotizzate da Miller sono talmente insormontabili da spingere gli scienziati ad ipotesi fantascientifiche come quella che il ribosio si sia formato su Marte in situazione desertica e poi sia giunto sulla Terra dove invece in condizioni umide si erano nel frattempo formati gli aminoacidi. Va detto con grande franchezza, credere in questa specie di catena di montaggio interplanetaria richiede un’attitudine del tutto irrazionale che finisce col dare ragione al titolo del libro del trio Giorgio Vallortigara, Telmo Pievani, Vittorio Girotto che si intitola appunto “Nati per credere“. Solo che a differenza di quanto sostenuto dai tre autori i veri creduloni non sono i creazionisti ma coloro che accettano come possibili questi viaggi interplanetari del ribosio che poi, arrivato con una migrazione di massa sulla Terra, si sarebbe incorporato nelle basi azotate pronte ad accoglierlo nella giusta sequenza. Al confronto i miracoli di s. Gennaro sono roba da principianti.
L’alternativa rimanente sarebbe quella di un pre-RNA che faceva a meno del ribosio che poi sarebbe aggiunto in un secondo tempo. A questo punto proponiamo un gioco agli amici sostenitori di quest’ipotesi: servendosi della figura seguente provate a montare una catena di pre-RNA (ma anche DNA) senza il ribosio:
Ma l’esperimento di Miller – Urey riuscì a formare solo una miscela racemica di aminoacidi (cioè di aminoacidi di forma speculare di cui solo una, la L, è presente negli organismo viventi) e di alcuni altri composti organici, ma in modo troppo semplicistico si giunge alla conclusione che la questione dell’origine delle molecole necessarie alla vita è praticamente risolta:
Ricostruita così a grandi linee la sintesi prebiotica dei composti organici, si apre però il problema di delineare un meccanismo plausibile per l’inizio dell’autoreplicazione delle molecole.
Incredibilmente, nello stesso articolo, poche righe dopo parlando dell’ipotesi dl cosiddetto “mondo a RNA” viene negato quanto appena detto:
In questa ricostruzione mancherebbe solo una buona disponibilità dei “mattoni elementari” da cui sintetizzare l’RNA, in particolare lo zucchero ribosio.
E qui s’incontrano notevoli difficoltà teoriche. Con processi prebiotici, infatti, il ribosio si può sintetizzare in quantità limitate, e la sua vita media in ambiente acquoso è estremamente breve.
Da ciò discendono due spiegazioni alternative: il ribosio si è formato in condizioni desertiche, come quelle della superficie di Marte, oppure l’RNA primordiale faceva a meno del ribosio (era una sorta di pre-RNA).
L’appena dichiarata ricostruzione della sintesi prebiotica cade quindi di fronte alle difficoltà che pone la ricostruzione della sintesi del ribosio indispensabile per ottenere l’RNA (acido ribonucleico). Le difficoltà di ottenere il ribosio nelle stesse condizioni della Terra primordiale ipotizzate da Miller sono talmente insormontabili da spingere gli scienziati ad ipotesi fantascientifiche come quella che il ribosio si sia formato su Marte in situazione desertica e poi sia giunto sulla Terra dove invece in condizioni umide si erano nel frattempo formati gli aminoacidi. Va detto con grande franchezza, credere in questa specie di catena di montaggio interplanetaria richiede un’attitudine del tutto irrazionale che finisce col dare ragione al titolo del libro del trio Giorgio Vallortigara, Telmo Pievani, Vittorio Girotto che si intitola appunto “Nati per credere“. Solo che a differenza di quanto sostenuto dai tre autori i veri creduloni non sono i creazionisti ma coloro che accettano come possibili questi viaggi interplanetari del ribosio che poi, arrivato con una migrazione di massa sulla Terra, si sarebbe incorporato nelle basi azotate pronte ad accoglierlo nella giusta sequenza. Al confronto i miracoli di s. Gennaro sono roba da principianti.
L’alternativa rimanente sarebbe quella di un pre-RNA che faceva a meno del ribosio che poi sarebbe aggiunto in un secondo tempo. A questo punto proponiamo un gioco agli amici sostenitori di quest’ipotesi: servendosi della figura seguente provate a montare una catena di pre-RNA (ma anche DNA) senza il ribosio:
Immagine della coevoluzione di proteine ed RNA nei ribosmomi (da PlosOne)
L’immagine dell’evoluzione contemporanea di ribosomi e proteine pone un problema logico che ricorda quello dell’uovo e la gallina: se le proteine che interagiscono con l’RNA erano presenti casualmente nel brodo primordiale, come avrebbe potuto l’RNA incorporare poi la sequenza che le codifica per produrle?
Ovviamente lo studio ha subito suscitato obiezioni. Così, Russell Doolittle, dell’Università della California a San Diego, ha osservato: “E’ un articolo molto coinvolgente e provocatorio di uno dei ricercatori più innovativi e produttivi nel campo dell’evoluzione delle proteine”, tuttavia, lascia perplessi “l’idea che alcune delle prime proteine siano state prodotte prima dell’evoluzione del ribosoma come sistema di produzione delle proteine”: se le proteine fossero più antiche della macchina ribosomiale che oggi produce la maggior parte di esse, in che modo “le sequenze di amminoacidi di queste prime proteine sarebbero state state ‘ricordate’ e inserite nel nuovo sistema”?
Quello che dunque emerge da quest’analisi è il fatto che sull’origine delle prime molecole si conosce pochissimo, e che quel pochissimo risale ad ormai più di sessant’anni fa.
Ma cosa si può dire sulle fasi successive della comparsa della vita sulla Terra? Ecco le conclusioni riportate su Le Scienze:
In definitiva, spiega Gollihar, il merito dell’esperimento orginale di Miller è stato quello di aver individuato un percorso plausibile per l’origine della vita sulla Terra, le cui singole fasi attendono di essere chiarite con le moderne tecniche sperimentali.
L’altro grande capitolo, quello della cellularizzazione del materiale genetico, è invece un ambito ben al di là delle speculazioni che attualmente è possibile formulare.
E così, contrariamente a quanto detto all’inizio dell’articolo su Le Scienze, non esistono cammini diversi per spiegare la comparsa della vita sulla Terra, siamo lontanissimi dal capire come sono comparse e quali fossero le prime molecole autoreplicanti.
E siamo lontanissimi dal poter ipotizzare cosa sia successo dopo, quando si è trattato di passare da molecole autoreplicanti alle cellule. Su questo l’accordo con le conclusioni di Gollihar non avrebbe potuto essere più totale:
“quello della cellularizzazione del materiale genetico, è invece un ambito ben al di là delle speculazioni che attualmente è possibile formulare“
Quest’ultima frase fa onore all’onestà intellettuale di uno scienziato, una frase che però dovrebbe essere estesa a tutte le teorie attuali non solo sull’origine della vita ma anche su quella delle specie.