Ispirato liberamente, tradotto liberamente, e rielaborato dai lavori di Frank Turek (Stealing from God cap.3), Stephen C. Meyer (Darwin’s Doubt cap.10), Don Batten, Royal Truman, Warner Wallace, Casey Luskin.
Nella Parte 1 abbiamo visto e criticato la teoria evoluzionistica analizzando le mutazioni e un problema statistico. In questa sezione criticheremo il darwinismo analizzando la complessità irriducibile, qualche altro problema statistico e l’inefficienza della selezione naturale. Premettiamo che le categorie trattate in questo articolo sono indipendenti le une dalle altre.
LA SELEZIONE NATURALE E’ UN PROCESSO CHE CONSERVA
Darwin credette che la selezione naturale potesse selezionare persino la variazione più piccola, ma in realtà, come spiegheremo, la selezione naturale è in grado solamente di selezionare variazioni dagli effetti estremi, come ciò che causa o previene la morte.
Tale principio fu riconosciuto dal famoso scienziato Motoo Kimura, che constatò che quasi tutte le mutazioni avessero un effetto troppo piccolo sull’organismo perché esse potessero essere individuate dalla selezione naturale. Egli elaborò un grafico in cui mostrava come moltissime mutazioni fossero invisibili alla selezione.
Nella parte grigia, chiamata “scatola di Kimura”, ricadono infatti tutte le mutazioni non selezionabili. Dalla sinistra dello zero sono rappresentate tutte le mutazioni che hanno un effetto negativo, mentre dalla destra dello zero sono rappresentate tutte le mutazioni dall’effetto positivo.
Ma come è facilmente capibile, tutte le mutazioni positive hanno un effetto troppo piccolo per essere selezionate, poiché ricadono nella scatola di Kimura.
Un altro evoluzionista, J.B.S. Haldane, ha determinato negli anni ’50 che i tratti necessitavano di un vantaggio di selezione di almeno 10% per far sì che la selezione naturale potesse avere una possibilità ragionevole per renderli stabili nella popolazione.
Un 10% di vantaggio di selezione significa che gli individui con questo tratto producono 10 % in più di prole che sopravvive, rispetto a quei individui senza quel tratto (Haldane, The cost of natural selection, J. Genetics 55:511-524).
Gli evoluzionisti presuppongono che ci sia circa una mutazione per individuo per generazione. Infatti, avendo riconosciuto l’effetto distruttivo delle mutazioni, hanno dovuto ipotizzare che ce ne fossero poche poiché, se non fosse così, la selezione naturale non sarebbe in grado di scartarle, e si verificherebbe il cosiddetto “genetic meltdown”, ovvero l’accumulazione di mutazioni in una popolazione che porta all’estinzione. Però negli ultimi anni è stato constatato che il tasso di mutazione è ben 50 volte più alto di quello che gli evoluzionisti avevano assunto, come dimostrato da John Sanford (già professore di genetica dell’Università di Cornell e inventore della biolistica) nel suo libro Genetic Entropy.
Oltre al tentativo di abbassare il tasso delle mutazioni, gli evoluzionisti, da ormai tanto tempo, hanno cercato di sostenere che il 97% del DNA non fosse funzionale (detto “DNA spazzatura”). In tal modo l’evoluzionista cerca di limitare la distruttività dell’assioma primario (il meccanismo mutazione + selezione naturale), ma come ha ormai provato definitivamente il progetto ENCODE (anche in questo caso il DNA spazzatura sarà oggetto di approfondimento dei nostri futuri articoli), il DNA spazzatura è un’altra speculazione darwinista, ormai abbandonata dagli evoluzionisti più onesti.
La scoperta di John Sanford crea un’enorme problema per la teoria dell’evoluzione, infatti l’alto tasso di mutazione, l’effetto distruttivo di quest’ultimo, e il fatto che le mutazioni negative che ricadono nella scatola di Kimura non possano essere selezionate (quindi né preservate e né scartate) portano ud un graduale accumulamento nel tempo di mutazioni negative in una data popolazione. Questo processo di selezione naturale e mutazione, che Sanford chiama “assioma primario”, sta portando tutti gli animali alla distruzione e all’estinzione, non al miglioramento e alla complessificazione.
L’altra implicazione che Sanford individua è che anche le mutazioni positive necessitate dall’evoluzione ricadono tutte nella zona neutrale (altro termine per “scatola di Kimura”) senza poter essere selezionate. Sanford, nel suo libro, dimostra come i singoli nucleotidi (le lettere del DNA che costituiscono l’informazione genetica, l’equivalente delle lettere che formano le parole) diano un contributo infinitesimamente piccolo all’intero genoma. La domanda è quindi “come hanno fatto ad arrivare qui e come hanno fatto a essere preservati dalla selezione?” La selezione naturale infatti è cieca, non è capace di selezionare ciò che non porta un significativo vantaggio.
Poiché un singolo nucleotide non dà quasi nessun vantaggio all’organismo, l’unico modo per essere selezionato sarebbe che in anticipo la selezione naturale preservasse quel nucleotide sapendo che, anche se non serve momentaneamente, servirà in futuro quando avverranno altre specifiche mutazioni. Ma questo è chiaramente impossibile. La gradualità che necessita il processo evoluzionistico rende impossibile la selezionabilità dei nucleotidi che servono per creare nuova informazione. Il piccolo contributo di ogni nucleotide è quindi coperto dal “rumore” di fondo di tutti gli altri nucleotidi (termine che Sanford usa e che verrà sviluppato in futuro).
Per riassumere, l’argomento di Sanford contro l’evoluzione si può sintetizzare così:
Gli evoluzionisti informati sono consapevoli di questi problemi e come risposta hanno proposto l’epistasi sinergica, in cui gli effetti delle multiple mutazioni che accadono tutte insieme creano un effetto più grande delle loro somme. Sanford però ha dimostrato che questo renderebbe il problema peggiore. La scienziata Tomoko Ohta, nota come una delle più grandi genetiste di sempre, ha ammesso che la epistasi sinergica non fa altro che aggravare la cosa. (Sanford, Critics ignores reality of Genetic Entropy, March 2013). Inoltre, Sanford per mettere definitivamente a tacere questa opzione, fece delle simulazioni matematiche che usano un modello di popolazione genetica chiamato “Mendel’s Accountant”, dimostrando ancora una volta le fragilità delle obiezioni evoluzionistiche.
Per concludere, non si può credere che un processo che non fa altro che distruggere genomi possa creare un organismo migliore.
BREVE ILLUSTRAZIONE DEL PROBLEMA EPIGENETICO INDIVIDUATO DA STEPHEN C.MEYER
Nel libro di Stephen C. Meyer, Darwin’s Doubt, si indaga sul dubbio centrale che Darwin ebbe della sua stessa teoria, cioè che in tutti i reperti fossili non vi erano le forme intermedie che la sua teoria di cambiamenti evoluzionistici graduali richiedeva. Sebbene preoccupato per la mancanza dei fossili transizionali, Darwin non ne fece un grande problema, sperando che le scoperte future avrebbero confermato la sua teoria. Meyer sostiene che queste scoperte non sono mai avvenute. Infatti qualsiasi ricerca approfondita tra i reperti fossili e conferma oggi ciò che originariamente Darwin stesso notò: la comparsa discontinua e brusca delle prime forme di vita animale complessa in un remoto periodo geologico della storia conosciuto come il periodo Cambriano. Infatti, i paleontologi ora ritengono che approssimativamente venti dei ventisei phylum animali (che rappresentano i distinti piani corporali) trovati nell’insieme dei reperti fossili appaiono senza predecessori in un evento geologico senza paragoni chiamato “l’esplosione Cambriana”.
Di certo Darwin non era a conoscenza del DNA o dell’informazione biologica aggiuntiva necessaria per rendere possibile la vita. Se avesse conosciuto questi fatti scientifici, avrebbe capito che i reperti fossili non erano l’unico problema della sua teoria. Adesso sappiamo che i nuovi piani corporali, come quelli che osserviamo essere comparsi improvvisamente nell’era Cambriana, necessitano di milioni di nuovi caratteri di precisa e codificata informazione genetica, e che tutta questa nuova informazione doveva essere nata velocemente per spiegare l’improvvisa comparsa. Anche se accettiamo per ipotesi che la prima forma di vita avesse già informazione genetica preesistente, come è possibile che cieche forze della natura possano creare nuova informazione per nuovi piani corporali (per farla molto semplice sono un gruppo di caratteristiche strutturali e di sviluppo che può essere utilizzato per identificare un gruppo di animali, come il phylum)? Una mutazione di informazione preesistente non funzionerebbe poiché tali mutazioni sono quasi sempre dannose. Quanto tempo un lettore impiegherebbe a distruggere il senso di questa stessa frase spostando casualmente queste lettere? Quanto tempo Microsoft Word potrebbe funzionare se il suo codice incominciasse a mutare casualmente? Smetterebbe molto rapidamente di funzionare (il nostro DNA è un insieme di lettere strutturate grazie ad un codice ed una sintassi. Ne parleremo nell’Argument from information).
Ma questo è un problema che abbiamo già trattato nella parte 1.
La premessa appena fatta serve ad introdurre brevemente un ulteriore problema individuato da Stephen C. Meyer nel 14 capitolo del suo libro Darwin’s Doubt.
Possiamo definire questo problema come il “problema epigenetico”: anche se ci fosse tempo infinito e opportunità infinite affinché la natura possa mutare il DNA in quella informazione necessaria per nuova vita, questo ancora non basterebbe per creare una nuova forma di vita, questo perché il DNA da solo non detta la formazione di piani corporali.
Negli ultimi anni i biologi hanno scoperto una nuova forma di informazione essenziale (necessaria) per la formazione del corpo chiamata informazione epigenetica, la quale non è contenuta nel DNA ma nelle strutture della cellula. L’informazione epigenetica è quella che è impartita dalla forma e dalla struttura della cellula embrionale includendo l’informazione dell’uovo. In parole semplici, la struttura fisica delle cellule ancora ad uno stadio iniziale traccia un percorso di sviluppo per l’organismo.
Nel 14 capitolo di Darwin’s Doubt si descrivono i diversi tipi di informazione epigenetica che i biologi hanno individuato. I dettagli verranno analizzati in futuro, ma in breve si può dire che costruire un essere vivente necessita:
1) Il DNA per fare le proteine
2) Le proteine devono essere organizzate in strutture cellulari e i diversi tipi di cellula
3) I tipi di cellula devono poi essere organizzati in tessuti
4) I tessuti devono poi essere organizzati negli organi
5) Gli organi e tessuti devono poi essere organizzati nei piani corporali
Anche se il DNA contribuisce in tutti e 5 i passi, l’informazione epigenetica è necessaria per spiegare i passi 2,3,4,5. Il DNA non è infatti in grado di farlo da solo.
Pensate a questo esempio: una casa da costruire. Per far sì che si possa costruire una casa, si ha bisogno di specifiche istruzioni e i materiali fisici di una certa dimensione e composizione, come viti, chiodi, cemento e fili elettrici, ed infine questi materiali devono poi essere posizionati in una struttura precisa. Allo stesso modo, per costruire un essere vivente, sono necessitate specifiche istruzioni (il DNA), e i materiali fisici di una certa misura e composizione, che devono essere formate in specifiche strutture come le cellule, i tessuti, gli organi… (informazione epigenetica). Il DNA può solo spiegare quindi l’esistenza dei specifici materiali, e non della loro organizzazione in piani corporali.
Detto questo, non è possibile costruire una casa più complessa di quella precedente semplicemente cambiando il libretto di istruzioni della tua casa. Allo stesso modo non si può costruire una forma di vita più complessa semplicemente mutando le istruzioni scritte di una forma di vita esistente. Nuovi materiali e strutture sono necessitate.
Molto semplicemente, si può dire che l’informazione epigenetica orchestri dall’alto il tutto, mentre il DNA spiega la formazione dei singoli pezzi, o meglio le proteine, ma non è in grado di farle funzionare assieme.
Ma non può essere mutata l’informazione epigenetica per creare nuove forme di vita? Meyer sostiene che questa sia una delle domande più comuni che egli riceve e la sua risposta e sempre “no” per diversi motivi, il principale è che un cambio epigenetico ucciderebbe l’organismo immediatamente.
L’implicazione di questo argomento è di fondamentale importanza: infatti poiché il DNA da solo non è in grado di controllare la formazione dei piani corporei, semplicemente mutare il DNA non creerà mai un nuovo piano corporeo. La teoria dell’evoluzione è quindi falsa.
Questo argomento non si basa nemmeno sulla probabilità: anche se il tem a disposizione fosse infinito, l‘organismo non avrà mai un piano corporeo diverso dal suo. Meyer dice: “Anche nel migliore dei casi, per uno che ignora l’immensa improbabilità della generazione di nuovi geni tramite mutazioni e selezione naturale, le mutazioni nella sequenza del DNA creerebbero semplicemente nuova informazione genetica. Ma costruire un nuovo piano corporeo richiede più che solamente informazione genetica. Richiede informazione sia genetica che epigenetica, informazione che per definizione non è immagazzinata nel DNA e quindi non può essere generata da mutazioni del DNA. Ne consegue che il meccanismo della selezione naturale che opera su mutazioni casuali nel DNA non può da solo generare nuovi piani corporei, come quelli che comparvero nell’esplosione cambriana” (Stealing from God, Frank Turek, 63).
L’unico sostanziale tentativo di confutazione di questo argomento proviene dal rispettabile paleontologo Dr. Charles Marshall, che recensì “Darwin’s Doubt” sulla prestigiosa rivista Science. Il Dr. Marshall asserì che nuovi piani corporali nacquero attraverso il “ricablaggio” (riorganizzazione) di geni già esistenti (o meglio, di network genetici regolatori).
Meyer rispose che anche se ciò fosse vero, il “ricablaggio” di geni esistenti richiederebbe esso stesso un’infusione di un codice genetico aggiuntivo. Inoltre, sappiamo dagli esperimenti che (rimescolando) le reti di regolazione genetica, che sono sistemi di controllo per il funzionamento della cellula, si causa inevitabilmente la morte dell’organismo.
La posizione di Marshall non fornisce inoltre alcuna spiegazione naturalistica per l’origine dei geni stessi; semplicemente presuppone la loro esistenza. Dunque Marshall non ha risolto il problema dell’orine della informazione biologica, l’ha semplicemente spostato più in là.
Quando il Dr. Meyer ha insistito su questa risposta in un dialogo via radio, il Dr.Marshall ha semplicemente risposto: “buona osservazione”! (Unbelievable?, Darwin’s Doubt – Stephen C. Meyer & Charles Marshall debate ID – Does the Cambrian explosion support Intelligent Design? November 29, 2013).
Altri due problemi statistici
Oltre al problema statistico di Behe, il quale asserisce che funzioni che necessitano di più di due mutazioni all’interno del genoma non hanno il tempo materiale per formarsi, esistono molti altri problemi statistici.
1) IL DILEMMA DI HALDANE
L’evoluzionista J.BS. Haldane fu uno dei fondatori della genetica delle popolazioni e riconobbe seri problemi nella teoria darwinista. I suoi studi infatti dimostrarono che il processo di selezione naturale è troppo lento per poter forare la vita oggi presente.
Quando una mutazione benefica nasce in una popolazione, deve incrementare in frequenza per far sì che la popolazione evolva (se la mutazione rimanesse in un solo individuo, allora l’evoluzione non potrebbe procedere, questo è ovvio). In altre parole, tale mutazione deve sostituirsi ai geni non mutati all’interno della popolazione. Ma il tasso con cui questo può accadere è ovviamente limitato.
Ad esempio, uno dei principali fattori che limita il tasso di sostituzione è il tasso di riproduzione delle specie. Ad esempio, il tasso di generazione dell’essere umano è di circa 20 anni e ha un tasso di riproduzione per individuo abbastanza basso, quindi il tasso di crescita di un mutazione in una popolazione sarà estremamente basso.
Immaginate una popolazione di 100,000 scimmie, i supposti progenitori dell’uomo. Immaginate adesso che sia in una scimmia femmina sia in una scimmia maschio si riscontri una mutazione così benefica da farli rimanere gli unici esemplari a sopravvivere: infatti tutte le altre 99,998 scimmie morirono. E la coppia sopravvissuta ebbe abbastanza tempo per riprodursi per ricostituire numericamente la popolazione in una generazione.
Immaginate adesso che questo succeda ad ogni generazione (ogni 20 anni) per 10 milioni di anni, più del tempo che gli evoluzionisti dicono essere passato dall’ultimo antenato comune tra la scimmia e l’uomo. Questo vorrebbe dire che 500,000 (ovvero 10 milioni diviso 20 milioni) mutazioni benefiche si sarebbero aggiunte alla popolazione.
Anche con questo scenario completamente non realistico, che massimizza alle stelle le condizioni perfette per un processo evolutivo, si formerebbe solo circa il 0,02% del genoma umano!
Considerando che il DNA di un essere umano e quello di una scimmia, il nostro supposto parente più vicino, hanno almeno 150 milioni di basi (lettere) diverse, ovvero non meno del 5% di differenza. (Tomkins, Bergman, Genomic Monkey Business, J. Creation 26 (1): 94-100, 2012)
Queste considerazioni mostrano che la teoria evoluzionistica si trova davanti ad un enorme problema, in quanto è stato mostrato come la fissazione nella popolazione di un nuovo tratto impieghi un tempo enorme.
E’ proprio per questo, e altri motivi, che gli evoluzionisti inventarono il concetto di DNA spazzatura. Gli evoluzionisti realizzarono infatti che la selezione naturale non poteva formare abbastanza DNA (appunto solo una piccola percentuale di quello che è il nostro DNA), allora ipotizzarono che la maggior parte del DNA non fosse funzionante.
Tenendo conto dei tassi più realistici di adattamento, selezione e tasso di riproduzione, il numero di mutazioni benefiche che può essere accomodato/inserito in una popolazione crolla. Haldane calcolò che non più di 1,667 sostituzioni benefiche possono essere avvenute nei supposti 10 milioni di anni (per essere generosi) dall’ultimo antenato dell’uomo e della scimmia. Ciò significa che può verificarsi circa una sostituzione ogni 300 generazioni.
Haldane intese il termine sostituzione come un singolo evento di mutazione che si diffonde in tutta la popolazione (si fissa). Tale mutazione può quindi verificarsi in una duplicazione genetica, un’inversione cromosomica o una sostituzione di un singolo nucleotide, un’inserzione o un’inversione.
I biologi hanno trovato che la grande maggioranza delle mutazioni sono in effetti sostituzioni di singoli nucleotidi, dunque il limite di Haldane pone una severa costrizione riguardo a ciò che è possibile ottenere con il processo evoluzionistico, perché 1667 singole sostituzioni di nucleotidi ammontano a meno di un gene (di grandezza media)!
Va inoltre notato che Haldane fece delle presupposizioni semplificatorie che invece ottimizzarono il numero di sostituzioni che sarebbero possibili. Dunque in realtà il numero di sostituzioni possibili è molto minore di quello che ha calcolato Haldane.
L’analisi di Haldane mostra che la selezione naturale di mutazioni non può essere responsabile per i genomi degli organismi come gli uomini (o per altri casi specifici, come ad esempio la formazione del collo delle giraffe), in quanto sarebbe di gran lunga troppo lenta. Gli evoluzionisti hanno sempre tentato di evitare questo problema, ma recentemente Walter ReMine ha affrontato il problema con una analisi che cerca anche di chiarire la confusione che ebbe Haldane sull’argomento. (Batten, D., Haldane’s dilemma has not been solved, J. Creation 19(1):20-21, 2005; creation.com/haldane)
2) L’IMPOSSIBILITA’ STATISTICA DELLA FORMAZIONE DI PROTEINE DIMOSTRATA DALLO SCIENZIATO DOUGLAS AXE
Dato che i geni (porzioni del genoma) codificano le proteine, e nuove proteine sono necessarie per una evoluzione darwinista, Douglas Axe studiò la probabilità della formazione di nuovi geni capaci di codificare nuove proteine.
Prima di iniziare a descrivere il suo studio è bene sottolineare come i geni capaci di produrre nuovi “ripiegamenti di proteine” hanno solo due modi per formarsi: a) o da geni preesistenti o b)da sezioni non funzionanti del genoma.
Per “ripiegamento di proteina” si intende la forma/configurazione funzionale delle proteine (si veda immagine: a sinistra c’è la catena di amminoacidi e a destra essa assume un particolare forma che le conferisce una particolare funzione diventando proteina).